Come mai alcune novità si diffondono velocemente mentre altre molto lentamente? Atul Gawande, chirurgo statunitense, in un articolo pubblicato sul settimanale “Internazionale” ricostruisce la diffusione di due scoperte dell’800 molto diverse ma fondamentali per la medicina come l’anestesia e gli antisettici. L’anestesia si è diffusa molto rapidamente mentre le scoperte relative agli antisettici faticarono a diffondersi nonostante gli effetti positivi nel ridurre i casi di setticemia e di morte.
Un fattore che viene individuato per spiegare la lentezza della diffusione di queste scoperte è la resistenza alla diffusione di idee in controtendenza che però Gawande non trova sufficiente a spiegare il diverso destino delle idee citate. Infatti entrambe erano in controtendenza ma hanno avuto un decorso molto diverso.
“Allora quali erano le differenze? in primo luogo, un metodo combatteva un problema immediato e visibile (il dolore), mentre l’altro combatteva un problema invisibile (i germi) i cui effetti si sarebbero manifestati solo molto tempo dopo l’operazione. In secondo luogo, sebbene entrambi migliorassero la vita dei pazienti, solo uno migliorava quella dei dottori.
L’anestesia aveva trasformato la chirurgia da una frettolosa e brutale aggressione a un paziente urlante, in una procedura tranquilla e ponderata. Il listerismo, al contrario, imponeva al chirurgo di lavorare in una nebbia di acido fenico, che anche alle concentrazioni più basse gli bruciava le mani. Quindi si capisce perché la crociata di Lister non ebbe molto successo”.
Situazione analoga si è verificata nel caso di molte scoperte importanti. “Risolvevano problemi gravi ma invisibili agli occhi di molti, e applicarle era noioso, se non addirittura doloroso…”.
Fonte: Internazionale 22-28 novembre 2013
Un altro esempio attuale riguarda la difficoltà a diffondere alcune conoscenze che potrebbero limitare le morti per parto; ogni anno 300mila donne e più di sei milioni di bambini muoiono al momento del parto, soprattutto nei paesi più poveri. Per prevenire alcuni casi di mortalità infantile sarebbero disponibili delle soluzioni già da tempo ma non si sono diffuse. Gawande scrive: “ Siamo all’inizio del ventunesimo secolo e stiamo ancora cercando di capire come far attecchire delle idee che risalgono all’inizio del ventesimo”.
Una di queste è la cura del canguro che consiste nel mettere il neonato a contatto diretto con il corpo della madre in modo da prevenire i casi di ipotermia (ancora diffusi in contesti dove gli ospedali non hanno il riscaldamento come ad esempio alcune zone dell’India ma non solo).
L’ipotermia è molto comune e rende i neonati deboli, meno reattivi, meno capaci di poppare e più soggetti alle infezioni. Scrive Gawande: “Tra i bambini nati sottopeso o prematuri, la cura del canguro (come viene chiamata) riduce la mortalità di un terzo”.
E il problema non riguarda solo i paesi poveri ma anche i paesi ad alto reddito. Ad esempio negli Stati Uniti pare che la metà dei bambini che arrivano in rianimazione sono ipotermici.
Come fare a diffondere queste idee? Secondo Gawenda diverse esperienze hanno dimostrato che in questi casi non sono di aiuto le nuove tecnologie di comunicazione, internet, facebook ecc, ma l’unico modo per apportare dei cambiamenti e fare capire l’importanza di certe idee è andare sul luogo e parlare con le persone.
Interessante quanto mette in evidenza Gawande. Infatti la prevenzione in tutti i campi richiederebbe proprio la capacità di vedere anticipatamente ciò che può essere dannoso al fine appunto di evitare che possa avere conseguenze negative. Come fare se così frequentemente viene data importanza solo a ciò che dà un vantaggio o un risultato immediato? Stile di comportamento che può avere effetti negativi su tutti gli ambiti; come altri esempi Gawande cita il riscaldamento globale, la crisi economica ecc.
Purtroppo anche i processi educativi rischiano di risentire di questa difficoltà a guardare in prospettiva. Infatti l’educazione è un processo nel tempo i cui risultati, positivi o negativi, non sempre si vedono subito.
Di: Letizia Mannino