Peter Gray, picologo e ricercatore del Boston College, in un articolo pubblicato su “Internazionale” del 20-26 dicembre 2013 mette in evidenza come a partire dagli anni sessanta per bambini e adolescenti è gradualmente aumentato il tempo dedicato allo studio ma si è andato riducendo il tempo in cui possono giocare in modo autonomo; infatti gli sport organizzati dagli adulti hanno cominciato a sostituire quelli improvvisati e le attività extrascolastiche hanno preso il posto degli hobby.
Nello stesso periodo, continua Gray, i disturbi mentali infantili sono aumentati e non perché si sta prendendo atto di disturbi che esistevano già da prima. Infatti, negli Stati Uniti, i questionari utilizzati per misurare i livelli d’ansia e depressione dei ragazzi in età scolare sono gli stessi degli anni cinquanta.
“Le minori opportunità di gioco sono state accompagnate da una diminuzione dell’empatia e da un aumento del narcisismo, due fenomeni riscontrati dalla fine degli anni settanta sottoponendo a questionari standard campioni normativi di studenti universitari. Per empatia s’intende la capacità e la tendenza a vedere le cose dal punto di vista di un’altra persona e a capire quello che prova; per narcisismo un’eccessiva concezione di sé accompagnata dal disinteresse per gli altri e dall’incapacità di stabilire rapporti emotivi. Il calo dell’empatia e l’aumento del narcisimo è proprio quello che ci si aspetta di riscontrare in bambini con poche opportunità di giocare tra loro”…
Gray ha cercato di capire il significato del gioco nell’evoluzione e ha studiato la vita dei bambini nelle culture dei popoli di cacciatori raccoglitori partendo dal lavoro di un filosofo naturalista Karl Groos secondo il quale il gioco è nato per selezione naturale come mezzo per esercitare le abilità necessarie a sopravvivere.
Inoltre, sempre per studiare il ruolo del gioco, Gray ha condotto una piccola indagine su dieci antropologi che avevano studiato queste culture e che avevano osservato come i bambini fin dall’età di 4 anni erano liberi di giocare quanto volevano. Ma il gioco aveva la funzione di permettere l’acquisizione delle competenze culturalmente rilevanti a diventare adulti capaci e preparati; come cacciare, cercare radici commestibili, arrampicarsi sugli alberi …
Gray cita un’altra ricerca che ha condotto su una scuola alternativa, la Sudbury valley school, che si trova nel Massachussetts. In questa scuola gli studenti, dai 4 ai 19 anni, sono liberi di scegliere le attività da svolgere a condizione che rispettino tutte le regole dell’istituto; regole che però non riguardano l’apprendimento ma il mantenimento dell’ordine.
Questa scuola avrebbe in comune con le tribù dei cacciatori raccoglitori la caratteristica di creare le condizioni per sfruttare al massimo la capacità dei bambini di auto educarsi.
“Entrambe offrono ampie opportunità di giocare con gli strumenti della cultura e di entrare in contatto con una varietà di adulti attenti e preparati, che li aiutano e non li giudicano. E permettono ai bambini di mescolarsi con gli adolescenti (giocando con persone di età diverse s’impara di più che giocando con persone della stessa età). Infine, in tutti e due i casi, i bambini sono inseriti in una comunità stabile regolata da principi morali, quindi ne acquisiscono i valori e imparano a sentirsi responsabili per gli altri, oltre che per se stessi.”
Nell’articolo viene messo in evidenza come in molti paesi i bambini studiano sempre di più e sono molto bravi nel superare i test ma non sono creativi e non hanno voglia di imparare.
A questo proposito Kyung-hee Kim, una psicologa dell’educazione del College of William and Mary in Virginia ha osservato che i punteggi a test di creatività a cui sono stati sottoposti campioni di studenti statunitensi dall’asilo all’ultima classe delle superiori hanno cominciato ad abbassarsi dal 1984 e da allora continuano a scendere.
Kyung-hee Kim in un articolo del 2011 intitolato “La crisi della creatività”, ha scritto in merito a questi dati che “i ragazzi esternano meno le loro emozioni, sono meno energici, meno loquaci e in grado di esprimersi oralmente, meno spiritosi, meno fantasiosi, meno anticonformisti, meno vivaci e appassionati, meno intuitivi, meno capaci di collegare tra loro cose apparentemente non pertinenti, di sintetizzare e di vedere le cose da un’angolatura diversa”.
“Secondo questa ricerca c’è stato un calo di tutti gli aspetti della creatività, ma soprattutto di un parametro chiamato “elaborazione creativa” che valuta la capacità di prendere una particolare idea e di svilupparla in modo nuovo e interessante”.
Gray giustamente evidenzia come la creatività non può essere insegnata ma si può solo lasciare che fiorisca.
Sempre nel gioco si apprendono le competenze sociali; ad esempio nel gioco di gruppo bisogna farsi valere ma senza essere prepotenti e inoltre si imparano a gestire emozioni come la rabbia e la paura.
Fonte: “Internazionale” del 20-26 dicembre 2013
L’articolo mette in evidenza alcuni aspetti importanti come la diminuzione della capacità di provare empatia e l’aumento del narcisimo e come queste manifestazioni possono essere in rapporto con il diffondersi di un maggiore impegno nello studio o in attività organizzate a scapito di attività di socializzazione come il gioco di gruppo. Avendo presente che i fenomeni possono avere incidenze diverse in relazione alle culture e ai paesi considerati, sarebbe importante valutare il dato sulla progressiva riduzione della creatività e in particolare della “elaborazione creativa”. Infatti la capacità di vedere le cose da un’angolatura diversa non è fondamentale solo per le grandi invenzioni e scoperte ma anche nella vita di tutti giorni. Un piccolo cambiamento di prospettiva non è necessario ogni qual volta si debba risolvere un problema, anche relazionale?
Di: Letizia Mannino